di Merisa Pilav

La mia formazione scolastica è tutta italiana. Giunsi in Italia giusto in tempo per iniziare la prima elementare. Mi accolsero le maestre Angela e Lucia, splendide, e mi insegnarono la lingua e gli usi di qui. Sapevo a malapena presentarmi in italiano il primo giorno di scuola, non conoscevo nessuno se non mio fratello. Stavamo nella stessa classe e sempre vicini, le maestre sono diventate le nostre migliori amiche, il punto di riferimento nel nuovo mondo. Hanno saputo coinvolgere i nostri compagni nell’accoglierci e inserirci, e già nell’aprile della prima elementare ho potuto festeggiare il mio compleanno invitando le mie nuove amiche.

Ricordo molto bene la paura che avevo che nessuno accettasse il mio invito, la frenesia con cui io e mia sorella avevamo preparato gli addobbi per la festa, il timore  di mia mamma che i dolci che aveva preparato non fossero abbastanza buoni per la gente di qui. Il sollievo che provai a sentire il campanello suonare con la prima invitata che arrivava è semplicemente indescrivibile e so che devo tutto alle mie maestre, alla loro pazienza e dedizione nel fare il loro mestiere. Alla fine della prima elementare né io né mio fratello avvertivamo qualsivoglia esclusione o senso di diversità rispetto alla nostra classe, ci sentivamo parte integrante di essa.

Merisa Pilav, autrice di questo testo, è studentessa di Medicina all’Università di Trieste

La mia più grande soddisfazione era percepire che le maestre erano fiere di me, componevo poesie strampalate per loro due, costruivo piccoli doni che loro accoglievamo sempre con entusiasmo. Abbiamo condiviso grandi gioie e il più grande dolore, la perdita di un figlio della maestra Angela,  che dopo il lutto è tornata da noi a portarci a fine anno perché diceva che le davamo la forza per andare avanti. Capite bene che questo va oltre ogni confine di dovere professionale, qui si parla di legami umani profondi che non finiscono quando si cambia scuola.

Delle scuole medie ricordo a malincuore due episodi in cui due miei compagni di classe mi hanno insultato per la mia provenienza, e lo hanno fatto entrambi in occasione delle partite di calcio che facevamo durante le ore di ginnastica. All’epoca fu un trauma, per la prima volta mi si rinfacciava qualcosa che non avevo scelto e che nemmeno sentivo come una colpa: l’essere straniera. Ci rimasi male soprattutto perché  volevo bene a entrambi, dopo si sono anche scusati, su sollecito dei prof, ma non ho più avuto quell’ingenuità e quella spontaneità nel rapportarmi con loro.

Dentro di me sapevo che alla prossima partita di calcio avrebbero potuto insultarmi gratuitamente di nuovo. Penso che sia stato in questo periodo che ho imparato a difendere la mia integrità mentale, a capire e accettare la mia situazione e a dare tutto il mio affetto alle persone che me ne dimostravano altrettanto. Non vale la pena avvilirsi per qualcuno che reputa una partita di calcio più importante di un’amica, probabilmente loro nemmeno si rendevano conto di ciò che dicevano né del male che hanno fatto, presi dalla foga come erano. Ma il solo fatto che pensassero di insultare qualcuno dicendo che era un immigrato di…, denotava il loro concetto e reputazione degli stranieri.

Un’altra difesa che ho sviluppato nel tempo è stata quella di sapere che il meglio deve ancora arrivare, non sarei per sempre rimasta alle medie, dovevo impegnarmi per migliorare la mia situazione nel futuro che grazie al cielo dipendeva molto da me e non dal mio passato. È un approccio che uso anche oggi: di fronte a ogni situazione so che non sarà permanente, e un giorno sarà solo un ricordo, per quanto tragico, non sarà quello a rappresentare la mia vita.

Con questa filosofia mi pongo obbiettivi a breve, medio e lungo termine e lavoro nell’ottica di raggiungerli, può anche capitare di cambiare idea lungo il tragitto e di scoprire nuovi traguardi, l’importante è non rimanere immobili di fronte alla vita, passivi, con il rimpianto di non aver fatto qualcosa quando si aveva l’energia per farlo.

 

Sempre alle medie, ho incontrato la prof che è stata responsabile della mia scelta del liceo classico. I miei genitori non sapevano cosa consigliarmi, ero arrivata al loro livello di educazione scolastica, oltre non avevano mezzi per dirmi cosa fosse meglio. Ci pensò la prof di italiano che, conoscendo le mie abilità e le mie predisposizioni bene quanto le mie debolezze, non aveva dubbio alcuno. E liceo classico fu. Non me ne sono mai pentita, mi sono goduta quei cinque anni come nessuno prima, ho costruito il mio bagaglio culturale e il mio carattere a suon di versioni latine e greche prima, di testi filosofici poi.

Durante i prime tre anni delle superiori ho pensato solo a dedicarmi allo studio, i soldi bastavano per garantire l’istruzione sia mia che di mio fratello, ciò grazie agli sconti dei bus per chi aveva più figli scolari, alla possibilità di rivendere i libri una volta che non servivano più e a comprarne di seconda mano. Gli ultimi due anni sono stati un po’ più difficili, ho trovato un lavoretto per aiutare in casa e nel frattempo ho concentrato la mia attenzione sulla preparazione dell’esame di ammissione a Medicina.

Non ero molto emozionata per l’esame di maturità né spaventata nel sostenerlo, più che un traguardo, lo vedevo come un trampolino di lancio, forse anche una perdita di tempo ed energia, un intralcio fra me e l’unica cosa di cui mi importava allora, l’ammissione a Medicina. Tornassi indietro, mi dedicherei di più a godermi la conclusione di quel percorso, perché poi il tempo è sempre meno, le sfide sempre di più e nonostante l’interesse, si fa sempre più fatica ad avere una continuità, un filo conduttore, un inquadramento generale degli avvenimenti e dei pensieri. È questo ciò che offre la scuola, un quadro generale, una conoscenza di base e un metodo per ampliarla secondo poi i propri interessi e predilezioni, più aspetti riusciamo a inquadrare in questi anni e meno problemi avremo a contestualizzare le nuove conoscenze dopo.

Un’altra cosa di cui mi pento oggi è non aver frequentato le ore di religione, quando i miei hanno deciso di non iscrivermi, pensavano si facesse più che altro preghiera, quindi non aveva senso per me partecipare. Invece ora vedo quanto poco so dei Sacri Testi e quanto invece il mio ragazzo ne sappia di più, perché lui, bosniaco e musulmano come me, le ha seguite. Insomma, nel dubbio tra il sapere meno e imparare qualcosa di più, penso sia sempre meglio scegliere la seconda opzione, per avere una cultura generale quanto più ampia possibile.

Per quanto riguarda eventuali episodi di razzismo-discriminazione, devo dire che non ce ne sono stati. Fin dal primo giorno, le maestre e gli inservienti sapevano che essendo musulmani non mangiavamo carne di maiale in mensa, i miei avevano chiesto se era possibile avere un’alternativa e tutti si sono impegnati nell’offrircela. Spesso il signore che distribuiva i secondi sbagliava a darli e solo dopo che avevamo finito di mangiare correva a scusarsi, portando il formaggio per me e mio fratello. Erano scene molto divertenti e nessuno si poteva considerare offeso perché la buona volontà c’era.

Dopo di me, sono passati altri bambini stranieri in queste scuole, uno di loro in particolare si lamentava che i prof lo odiavano per la sua origine. Ma, conoscendolo, posso garantire che era lui che non si impegnava, dedicandosi invece all’autocommiserazione. Ogni invito al miglioramento era visto come una minaccia al suo non fare nulla.

Per quanto riguarda l’Università c’erano tante leggende, sempre fra queste persone che si sentivano discriminate, sembrava che per gli stranieri ci fossero posti limitati e pure pochi, cosa che mi lasciava perplessa e quindi iniziai a fare ricerche e leggermi i bandi di ammissione. Ne risultò che, per quanto mi riguardava, ero considerata alla pari dei cittadini italiani, concorrevo nella stessa graduatoria. I posti per stranieri erano sì di meno, ma erano pure esclusivi per ragazzi residenti all’estero che decidevano di studiare in Italia, e fino a pochi anni fa erano sempre di più rispetto alle richieste e di conseguenza entravano tutti indipendentemente dal loro punteggio al test d’ingresso. Quindi, quello che sembrava una discriminazione, in realtà era una agevolazione per studenti stranieri non residenti in Italia. Cosa ho imparato? Verba volant, scripta manent, bisogna leggere i bandi e i regolamenti, spesso la gente parla senza cognizione di causa e si rischia di perdere occasioni importanti per pura pigrizia, perché costa fatica leggere un documento ufficiale.

Il mondo dell’Università offre occasioni uniche, la borsa di studio che si ottiene in base al reddito e alla media degli esami permette di sopravvivere senza pesare troppo sulla famiglia, in più c’è la possibilità di lavorare per l’Università e guadagnare ancora oltre mille euro. Quindi, la problematica economica non deve spaventare, fino a quest’anno tutte le richieste di borsa di studio considerate idonee sono state soddisfatte. Queste borse sono date sia a italiani che stranieri, con spartizioni precise, ma ripeto: tutte le richieste sono soddisfatte. Ho visto buona parte dei borsisti, italiani e stranieri, perdere la borsa, nonostante ci sia il diritto a un bonus se un anno magari, per diversi problemi, non si riescano a fare tutti gli esami necessari e ci sia la possibilità pure di avere metà borsa di studio nel primo anno fuori corso. Ho visto gente che già al primo anno chiedeva di usare il bonus punti, quando per fare domanda di borsa servivano 25 crediti (circa due o tre esami). Queste stesse persone si lamentavano che era ingiusto che loro dovessero studiare per ottenere la borsa quando c’era gente che aveva i soldi per fare anni e anni di fuori corso, dicevano che sentivano questa pressione addosso perciò non riuscivano a studiare. In altre parole, quella che per gente come me è un’opportunità unica di cui essere grati, per loro era qualcosa di dovuto. Su che base non è chiaro. Il mondo è ingiusto, per carità, ma non è questo il caso. Nessuno di questi ha più finito l’Università, hanno sprecato qualche migliaio di euro non loro e se ne sono tornati a casa.

Parliamo molto di diritti, in questi anni, ognuno lotta per qualche diritto, ed è giusto così, ma non dimentichiamoci dei doveri, perché affinché le cose funzionino, ognuno deve fare il suo di dovere. Prima di pretendere qualcosa bisogna capire cosa si è disposti a fare per guadagnarsi quella cosa. In questa situazione si chiedeva il diritto allo studio, lo abbiamo ottenuto, la domanda che questi ragazzi si son posti è stata: “perché io DEVO studiare per avere la borsa quando i miei compagni possono non farlo e avere soldi lo stesso perché sono già ricchi?”. Questi non hanno capito niente, loro POTEVANO studiare grazie a questa borsa, hanno scambiato un mezzo per un fine, e hanno perso – giustamente – il diritto a uno studio retribuito.

Di anno in anno, le agevolazioni cambiano, bisogna sempre leggersi i bandi e capire cose si può richiedere, ci sono periodi in cui si risparmia molto, altri di meno, di fatto se si sta attenti alle tempistiche e alle varie scadenze si può tranquillamente vivere, non solo sopravvivere, all’Università. All’Università di Trieste ci sono studenti stranieri in tutte le facoltà, non è considerato eccezionale avere stranieri laureati, quindi, per quanto mi riguarda, il diritto allo studio è stato più che rispettato e, anzi, c’è chi ne ha abusato.